domenica 2 dicembre 2007

la libertà

"La libertà non deve avere aggettivi. E' solo la libertà"

Enzo Biagi

domenica 25 novembre 2007

il diavolo non veste prada

Arriva su Sky in questi giorni "Il diavolo veste Prada" e si aspetta con ansia la puntata di Report di Milena Gabbanelli sulle connessioni e/o connivenze tra moda ed editoria. Il mondo della moda affronta un inverno da cui si risveglierà diverso: molti marchi importanti (tra cui Prada) arriveranno alla quotazione in borsa, molti misteri su nuovi progetti verranno svelati (Schiapparelli, Halston) e sostanzialmente la geografia industriale tenterà di adeguarsi ad un calo di consumi dovuto all'Euro troppo forte e tenterà di serrare i ranghi per trovare una risposta all'incombenza di Cina e India.
L'ex paradiso della Milano da bere non esiste più da molto tempo.Non esistono più scatenati stilisti che fanno fortune (o sfortune) di piccole aziende, nè geniali manager che decidono di puntare tutto su marchi mai sentiti nominare e non esistono più giornaliste che con un facile colpo di penna stilografica firmano rubriche che decretano l'ascesa ai vertici di sconosciuti creatori.
Il sistema moda italiano vive di aziende medie e medio-grandi che fino a poco tempo fa avevano nonni, zii e parenti nel consiglio di amministrazione che non avevano gli strumenti per capire i cambiamenti sociali nè la capacità per agire di conseguenza. Un universo frammentato e lontano dal centro, periferico non solo geograficamente ma anche intellettualmente. E inoltre in Italia l'imprenditoria di moda aveva vissuto autonomamente rispetto agli altri comparti industriali, rispetto al sistema finanziario e a quello politico, esercitando una cieca teocrazia sul suo territorio e dimostrandosi diffidente ad ogni intervento esterno.
Ma il tempo passa e il mercato si globalizza e anche le piccole aziende in provincia di Modena o di Rimini devono decidersi ad affrontare una sfida mondiale.
E' opinione diffusa che in questo scenario il sistema editoriale italiano si inserisca come un alligatore in una palude piena di naufraghi stanchi, aspettando quieto di azzannare il più debole, succhiandone le energie economiche attraverso inutili e dispendiose pianificazioni stampa.
Di questo peccato capitale e, vicino a questo, di un uso privato del potere che ne deriva è spesso stata accusata l'omologa italiana della protagonista del film con Meryl Streep. Di questo e di molto altro. Ma in buona sostanza di avere, attraverso un potere immenso e dai contorni quasi sopranaturali, bloccato nel tempo e nello spazio il naturale sviluppo del sistema moda piegandolo alla sua volontà e quindi alle sue amicizie, alle sue parentele e spesso anche ai suoi capricci.
Da questa cartolina semplificata, che senz'altro meriterebbe un maggiore approfondimento, si lasciano fuori però molti dettagli.
Il primo è che, malgrado tutto, negli ultimi dieci anni l'industria della moda italiana si è ingrandita in maniera intelligente dando vita non solo a gruppi industriali solidi e in grado di competere con i francesi e gli americani, ma anche accogliendo innovazione e managerializzazione con una velocità che ha pochi paragoni.
E che a queste esperienze apparentemente semimiracolose la vicinanza di personaggi vestiti o no Prada non ha fatto per niente male ma caso mai li ha condotti più rapidamente al successo.
Il secondo punto è che, sempre in questi dieci anni, la parte dell'editoria che ancora si chiama femminile si è riempita di iniziative mangiasoldi che hanno raggiunto livelli grotteschi e che alla qualità hanno dedicato una colonna a pagina 273. Le edicole oggi sono piene di volumoni intrasportabili zeppi di pubblicità che riempiono le casse di tutti gli editori in maniera veramente bipartisan. Di respiro internazionale, qualità e ricerca neanche l'ombra. Tranne stranamente nei giornali della nerovestita cattivona che semplicemente ospitano e sono letti da chiunque abbia senso di esitere nel mondo della moda.
L'unione tra un punto di produzione di idee e il sistema moda ha prodotto più di un incontrovertibile risultato. Inutile neanche provare ad elencarli.
Ma è più semplice accettare racconti macchiettistici di direttrici furiosamente perverse e tristemente sole che interrogarsi su quanto gli ossimori a volte non siano risolvibili ma i risultati invece siano sempre visibili.

domenica 4 novembre 2007

scuola di moda - episodio 1




Marchio: Balenciaga
Designer: Nicolas Guequière
Collezione: p.e. 2008

Come molti marchi francesi il nostro numero uno ha un lungo e glorioso passato.
Fondato da Cristobal Balenciaga, spagnolo, classe 1895, esplode nel mondo della couture parigina all'inizio degli anni cinquanta. Duetta per il riconoscimento di massimo couturier di tutti i tempi con Christian Dior, francesissimo e dotatissimo anche lui, da quei tempi.Quello che Monsieur Balenciaga riesce a fare è semplice: scardina le vetuste regole della sartoria pre-guerra mondiale dove le pieghe stavano dove dovevano stare e ridisegna il corpo femminile con matita e forbice non ponendosi praticamente nessun limite.
Sarebbe piaciuto molto a Zaha Adid il suo spolverino in organza a forma di uovo che aveva bisogno di una sola cucitura per essere fatto.
Il tempo passa e i couturier muoiono lasciando al mondo gravi problemi di eredità.
Nel 1997, dopo più di un momento difficile, gli allora proprietari del marchio affidano la direzione creativa al giovane e promettente Nicolas Guesquière.
Facendo la mossa più intelligente mai fatta nel mondo della moda.
Oggi Balenciaga è semplicemente il marchio più adorato e cool del mondo.
Nicolas continua a lavorare in parallelo sull'eredità del maestro e sulla contemporaneità. Esplora il mondo di oggi guardandolo da molto lontano o da molto vicino.
Questa stagione ha voluto far ballare un passo a due al decadente universo fiorito delle tappezzerie ottocentesche e alle rigide costruzioni sartoriali dei corsetti dell'alta moda anni cinquanta.
Il risultato è un tutt'uno indistinguibile, a cui le categorie di bello e brutto sfuggono, ma che da un messaggio tanto incisivo quanto violento.
La leggiadria dei fiori e la rigidità delle forme scolpite nel neoprene sono un paradosso irrisolvibile.
Per quanto possa essere complicato da capire per i neofiti, Balenciaga è uno dei pochi progetti che racconta come la moda sia capace di leggere il presente avendo la buona creanza di non dimenticarsi che cos'è il passato.

scuola di moda - prologo

dopo il post arrabbiato di diego che, giustamente, urla il suo sconforto nei confronti di un elenco di nomi a lui incomprensibili, ho pensato a chi di moda non ne capisce una mazza ma è d'accordo sul principio di base che anima questo blog.
per questi avventurieri del web che pensano che ci sia da imparare anche dai taffetà e gli sbiechi, parte l'episodio uno della scuola di moda.
dove finalmente il difficile diventerà facile, l'incomprensibile comprensibile, il lontano vicino. perchè il settarismo non è etico.

sarà un pò lunga ma ce la possiamo fare.

tutto ciò è dedicato, ovviamente, a diego.

domenica 28 ottobre 2007

and the winner is

Ed eccola, dibattibile finchè vi pare, la prima classifica di fashionethical.
Collezioni che spingono la riflessione sul senso del vestire in avanti.
Designers che non hanno paura di niente se non dello stare muti.
Per motivi di incommensurabilità è divisa tra celebrities e newcomers.

Celebrities

1.Baleciaga - Nicolas Guesquière

2.Yves Saint Laurent - Stefano Pilati

3.Nina Ricci - Olivier Theyskens

4.Maison Martin Margiela

5.Lanvin - Albert Elbaz

6.Jil Sander - Raf Simons

7.Comme des Garcons - Rei Kawakubo

8.Prada - Miuccia Prada

9.6267 - Roberto Rimondi e Tommaso Aquilano

10.Chloè - Paulo Melim Andersson


Newcomers

1.Gareth Pugh

2.Jonathan Saunders

3.Giles - Giles Deacon

4.Peter Jensen

5.Christopher Kane

6.Bruno Pieters

7.Marios Schwab

8.Jens Laugesen

martedì 23 ottobre 2007

il bene in sè

Attualmente, il maggiore bisogno economico dell'America sono standard etici più elevati -- standard rafforzati da leggi severe e sostenuti da capitani d'industria responsabili.
George W. Bush, attuale Presidente degli USA, discorso sulla responsabilità aziendale - 9 Luglio 2002


Mi accorgo di non aver ancora detto quale rapporto ci possa o ci debba essere tra moda ed etica pur essendo quello il tema del blog e pur avendo scritto il primo post l'ormai lontano 17 agosto.
Non l'ho mai fatto perchè in qualche modo pensavo che fosse scontato. Ma google la pensa diversamente e rimanda solo siti di abbigliamento ecologico se sollecitato con queste due parole.E invece questo blog con l'ecologia o l'ecosostenibilità non ha niente a che fare. Ma tenta di far emergere le contraddizioni che ci sono tra pensiero, parola e azione di chi pratica il mondo della moda per professione o per diletto. Tenta di sostenere che esistono pensieri, parole ed azioni oggettivamente buoni ed altri oggettivamente cattivi. E che il distinguerli diventi sempre più complesso.

Purtroppo da quando avere una macchina ibrida o guardare il documentario di Al Gore è diventato salvifico molti hanno trovato un sistema per smettere di pensare o solo per ridirezionare il proprio pensiero verso concetti semplificati.
Invece spesso il cotone ecologico usato per fabbricare la t-shirt ecologica viene dall'altro capo della terra ed è trasportato da un jet non ecologico. Mentre il sudorifero poliestere nasce sotto casa nostra e non comporta spese di trasporto.
E questo è solo l'inizio della lista dei luoghi comuni. Che è purtroppo lunghissima.
Dentro ci stanno per esempio tutte le cattivissime direttrici di giornali che vestono prada, cattive che più cattive non si può da sempre, dominatrici dittatoriali di un universo inviolabile. Che nessuno si sforza di cambiare però.
Poi ci stanno le prezzolate quotidianiste di moda, onta e disonore della stampa italiana, a cui nessuno si sogna di togliere la pubblicità.
E giù (o sù) fino agli allegri enti organizzatori di sfilate e presentazioni che pestano i piedi ai deboli regalando visibilità ai forti che neanche una voce si leva a criticare.
Per arrivare infine alle istituzioni, sacre ma così sacre, da non essere tenute in considerazione da nessuno.

Il pensiero umano evita per default evidentemente ciò che gli sembra troppo complesso o incommensurabile con la propria capacità di comprensione.
Etico invece è lo sforzo di pensare diretto verso un'idea di bene in sè.
Che non dà necessariamente un risultato visibilmente etico, ma che del fatto che esistano comportamenti etici è il risultato.

giovedì 18 ottobre 2007

shi wanna

lapo elkann avrà la direzione creativa di caraceni.
un pò come dare la shi seido a wanna marchi.

mercoledì 17 ottobre 2007

la moda, la città e la guerra

Le città della moda nel mondo sono da tempo le stesse.
Per quanto ci siano innumerevoli tentativi di imitazione rimangono salde New York, Parigi e Milano nell'immaginario collettivo e negli itinerari dei buyers.
Londra arranca faticosamente ma rimane solo un incubatore di talenti senza importanza economica.
In Asia, malgrado il gran parlare, non succede niente da un punto di vista di innovazione creativa.
Sarebbe ragionevole pensare che tutti gli sforzi degli operatori italiani fossero diretti verso l'unico fine di supportare la capitale morale nel suo ruolo.
Invece si spintonano maldestramente Firenze, Roma e persino Como.
Si organizzano fiere, eventi e sfilate praticamente ovunque dissipando le energie in un quadro disarmonico e poco articolato.
Singolarmente le iniziative funzionano, riunite in un quadro d'insieme no.
Mentre Roma celebra Valentino con una grande mostra nientedimeno che all'Ara Pacis e Firenze ottiene grande visibilità con operazioni culturali e commerciali intelligenti (leggi: Contromoda a Palazzo Strozzi e Pitti W, precollezioni donna durante Pitti Uomo) Milano, tapina, trova intelligente ospitare una grande mostra su Vivienne Westwood dimenticandosi dell'anniversario della morte di Versace.
Forse la moda è semplicemente un enorme serbatoio a cui tutti possono attingere o forse la mitica età dei comuni di guelfi contro ghibellini non è mai finita.
Pare chiaro però che sia finita l'era dell'alta moda dalle parti di Roma e dei serici stampati floreali dalle parti di Como. Quanto alla motivazione storica che avvicina Firenze alla moda non mi è mai stata chiara.
Eppure chi dovrebbe pensare a coordinare questo quadro così confuso, a ridare priorità, a riscrivere in termini strategici le singole identità facendole marciare verso un progetto comune latita. O forse non esiste.
Economicamente un grosso affare, la moda innervosisce quando si tratta di innescare ragionamenti che portino al superamento di stupidi particolarismi.
E così Milano, Firenze e Roma continuano allegramente a farsi la guerra.

mercoledì 10 ottobre 2007

in ginocchio

andate su viviennewestwood.com nella sezione AR.
controsito anticommerciale della regina.
e mettetevi in ginocchio.

martedì 9 ottobre 2007

love

god loves him, whatever he does. if we don't have designers like him we might as well stop coming.

sarah rutson, buyer di lane crawford, department store di hong kong, sulla sfilata di alexander mac queen dedicata a isabella blow

piccoli designers non crescono

in risposta al mio post su isabella blow e alle mie domande, si sono scatenate molte e articolate risposte.
il tema mi piace e quindi voglio riparlarne.
facendo se possibile un pò di chiarezza.
coltivare è una parola che vuol dire (cito da un vecchio dizionario di etimologia) "portare avanti l'aratro e in senso metaforico attendere con premura, rispettare, venerare"; ne discende il sostantivo colto.
educare vuol dire "aiutare, con opportuna disciplina, a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell'animo e le potenze della mente. Condurre fuori dai difetti"
entrambi i concetti, anche se espressi in maniera ottocentesca sono omologhi, entrambi necessari a far nascere piante, città, idee, talenti.
non ho mai creduto, e continuo a non credere, che esistano paesi o aree che producono talenti attraverso la genetica di cromosomi più atletici degli altri.
il belgio, l'inghilterra, la francia. che cosa hanno di diverso da italia o albania?
un sistema educativo e sociale che coltiva il talento, lo nutre, lo rispetta.
l'italia, semplicemente non ce l'ha.
e il problema non sono solo le scuole (che comunque ne sono una parte) ma le istituzioni, la politica, il sistema culturale in cui gli spiriti creativi affondano le radici.

lo so che è facile a dirsi.
ma è purtroppo vero come è vero che i poli si stanno sciogliendo o che la ventura ha i denti finti.
eppure esiste una ricetta per cambiare.
che non è il lamento ma il lavoro, non la frustrazione ma l'azione, non le parole ma i fatti.
c'è una generazione di vecchi stilisti, vecchie redattrici e vecchi amministratori delegati che sono a capo di vecchi marchi, vecchi giornali e vecchie aziende.
si tratta di spazzarli via. eliminarli come si eliminano i vecchi vestiti.
e ricominciare a coltivare il terreno ormai secco.
cominciamo da qui.


The actress hasn't learned the lines you'd like to hear

She won't join your clubs, she won't dance in your halls

She won't help the hungry once a month at your tombolas

She'll simply take control as you disappea
r

madonna, evita.

domenica 7 ottobre 2007

senza parole 2 - gareth pugh

cogito ergo sum

- Questa passione dei giovani di vivere contemporaneamente tra il virtuale e la realtà non è che è solo un'utopia?
- Io sono ottimista riguardo alla loro capacità di avere la meglio. Iperinformati, nati davanti ad un computer hanno saputo ricostituire e digitalizzare il proprio universo poetico, circondati da rappresentazioni di scuoiati vivi, da Lautrèamont a Doherty...
Tutto, alla fine, deve essere reinventato, e senza dubbio bisogna rispettare una maturità nei gusti e nelle aspirazioni del mondo che ci circonda. Internet è la realtà. Davanti ad una tale mutazione non resta che prendere la tangente, premunirsi contro l'immobilismo, la reazione, il conformismo. Siamo in un tempo reale. Non è lo spazio siderale, ma una diversa percezione poetica. In breve: il 2007.

- Nei tuoi propositi c'è molto ottimismo. Ma cosa ne pensi del rapporto tra globalizzazione, creazione e performance commerciale?
- Oggi mi pare illusoria l'idea di rinchiudersi in uno spazio protetto. La globalizzazione è un dato di fatto. E' indispensabile trovare un punto di vista, un legame, delle affinita elettive in scala planetaria. Perchè la dimensione è globale ed è sempre più necessario essere vigili sul senso delle cose. Il senso, l'idea e l'impegno prima di tutto. Sono molto scettico sugli strumenti del marketing. Non si va avanti guardando il retrovisore, a meno di non essere dei followers. L'idea viene prima, il marketing poi. Il marketing non può che favorire l'avvicinamento, non sostituirsi alla creazione. Aderire ad un format non vuol dire avere risultati; per avere risultati bisogna pensare diversamente. Penso a Youtube , ma gli esempi sono centinaia. Bisogna intuire, prima di ragionare. Addirittura sragionare può dare ottimi risultati...
In materia di moda si tratta di riconciliare forma e contenuto, in un contesto saturato da marchi improbabili. Le collezioni stagionali, presentate un anno in anticipo, non corrispondono più a niente, tutto è online dopo pochi secondi. Nell'impossibilità di cambiare la logistica, la moda è in ritardo sulla moda, e si difende a colpi di precollezioni e postcollezioni. Cosa che aveva un senso ma non ne ha più. Questa è per me essenzialmente la questione dietro lo sviluppo di un marchio nel prossimo futuro.

da un'intervista a Hedi Slimane su Le Monde

senza parole - balenciaga

in un mondo che

viviamo in un mondo in cui sisley fa un'edizione limitata.
che è come dire vieni a passare una vacanza esclusiva a Sharm, compra questa torta al cacao con dentro gocce di vero cioccolato, comprati un van che in realtà è il salotto di Milano.
e ricordati che tutto questo lo facciamo per te.
perchè tu vali.