da oggi potete avere feed rss o avvisi in mail ad ogni nuovo post.
tecnologico no?
sabato 6 ottobre 2007
Forse

Che cosa ne sa una cliente di Vladivostok della ricerca spirituale di semplicità di Stefano Pilati da Yves saint Laurent? Che cosa succede all'intellettualismo elitario di Raf Simons da Jil Sander quando arriva a Dallas, Texas? Perchè la prima domanda che si fa Sarah Mower, stimata redattrice del visitatissimo sito online di Vogue America, Style.com, è se i vestiti che hanno appena sfilato venderanno e quanto? Con che interesse distributori e buyer che vendono vagonate di sconosciute seconde linee piene di pantaloni dalla vestibilità perfetta osservano una collezione di Comme Des Garcons? Da quanto tempo la moda è passata nelle mani di stiliste donne che hanno un approccio quantomeno quotidiano al prodotto, designer come Frida Giannini, Phoebe Philo, Consuelo Castiglioni, Ivana Omazic? Quanti progetti personali con una vera forza innovativa e la capacità di creare scenari autonomi esistono nella moda oggi?
Forse, è per la paura di rispondere a queste domande che Isabella Blow, scopritrice e musa di grandi talenti, ha alla fine deciso di bere del diserbante e lasciarsi morire.
sabato 29 settembre 2007
gentili lettori
Cari lettori tutti,
è inutile che mi facciate i complimenti per il blog.
Questo posto serve per scatenare discussioni.
Per il momento invece è morto.
Per colpa vostra, non certo mia.
Fate qualcosa, ve ne prego.
Ce le avrete pure delle opinioni, no?
E le potete esprimere anche in forma anonima se volete.
è inutile che mi facciate i complimenti per il blog.
Questo posto serve per scatenare discussioni.
Per il momento invece è morto.
Per colpa vostra, non certo mia.
Fate qualcosa, ve ne prego.
Ce le avrete pure delle opinioni, no?
E le potete esprimere anche in forma anonima se volete.
as fashion shows go by

Finite anche questa volta le sfilate milanesi, verrebbe da fare un bilancio.
Non tanto su quali siano i trend della prossima stagione. Domanda che ha smesso di interessare anche la velina più incallita. Ma sul significato di quello che è successo, anzi sul quanto significante sia quello che è successo.
Davanti ad un bicchiere di gin tonic verde subito dopo la sfilata di Prada, ancora elettrizzato, condividevo l'estasi intellettual/visiva con un gruppetto di giornalisti.
La mattina dopo, davanti ad un caffè sotto un cielo di pioggia, condividevo la stessa estasi stavolta con un direttore di giornale.
E in serata, condividevo sempre la solita estasi con una allegra community di modaioli amici.
L'estasi che veniva dalla sconvolgente forza di un pensiero, di una visione.
Quella di un'allegra ed attempata Miuccia Prada che di nuovo aveva dato una prova di coraggio.
Con una ricetta apparentemente semplice: si prende ogni singolo elemento su cui si può lavorare, dai materiali, ai colori, le forme, la decorazione, fino alla scenografia, la musica e i colori dei drinks e si spinge tutto al di fuori dei limiti dell'ordinaria accettabilità.
La signora Prada dice addirittura che il tema su cui ha lavorato, la fragilità e il lato onirico del femminile, sono cose che le danno il voltastomaco. E per questo motivo non ha avuto problemi nel rimescolarle.
Alice nel paese delle meraviglie è diventata una splendida e solitaria ragazza dagli occhi scavati, un'adolescente inquieta preda di sogni allucinati in cui animalesche creature seducenti si avviluppano intorno al seno, dietro le spalle, sulle gambe. La leggerezza di sottovesti di organza cammina a fianco a tristi pigiami forse usati da qualche bisnonno mai incontrato (o forse incontrato) mentre una lanterna magica proietta sulle pareti stranamente rotonde della stanza da giochi figure poco rassicuranti. L'universo delle favole, incontenibile trend di stagione, trova dalle parti di Via Bergamo una rilettura vetrificata, quasi morbosa.
E a tratti scatena lo stesso senso di colpa che sentiamo quando, inconsapevoli, affondiamo nelle pagine della lolita di Nabokov, nelle descrizioni malate dei suoi vestiti di pizzo, dei suoi capelli leggeri e la cosa, nostro malgrado, ci piace.
mercoledì 19 settembre 2007
Ittierre, vertici indagati per 1,3 milioni di euro di agevolazioni fiscali
L'azienda è al centro delle indagini della procura della repubblica di Campobasso per aver aggirato le leggi sull'import-export di tessuti e di capi d'abbigliamento...Secondo gli inquirenti Ittierre avrebbe acquistato tessuto dall'Est asiatico per poi consegnarlo a laboratori di confezioni di Tunisia, Marocco, Turchia, Romania e Macedonia attestando la provenienza comunitaria dei semilavorati ottenendo tra il 2003 e il 2006, grazie a certificazioni false, agevolazioni fiscali per un valore complessivo di 1,36 milioni di euro.
da MF Fashion di oggi
da MF Fashion di oggi
sabato 15 settembre 2007
voguethical

Difficilmente la parola etica si associa ad un giornale di moda. Questo perchè nella confusione di significati che attribuiamo al termine sembra improponibile avvicinarla ad un messaggio visivo che di solito veicola prodotti.
La moda, che ostinatamente continua a raccontarsi solo attraverso immagini fotografiche, non ha l'abitudine di far passare altri contenuti se non sè stessa che guarda sè stessa.
Esistono pochi giornali che si muovono in questa torbida melma semiotica non solo conoscendola ma tentando di ribaltarne il significato, respingendone a lato l'apparato pubblicitario, e strutturando un livello di comunicazione che va al di là dell'offerta di oggetti.
Il mondo è invaso da prodotti che di per sè non hanno nessun significato. Giornali e fotografi nè amplificano il valore, a volte lo creano dal niente.
Vogue Italia è un giornale amato da chi lavora nella moda ma anche odiato, perchè si concede la libertà di negare quello di cui vive.
Chi ha dato un'occhio anche veloce al numero di Settembre non ha potuto fare a meno di scontrarsi con la potenza delle immagini del servizio sulla guerra di Steven Meisel.
Improvvise, sporche, scioccanti, modaiole fino all'osso.
Non c'è protesta riguardo alla situazione ancora in atto, nè tentativo di informazione.
Solo un'attenta ricostruzione documentaristica delle condizioni dei soldati in Iraq proiettata sul set di uno shooting di moda. Il sacro e il profano vengono mescolati coscientemente. Il significato etico viene forzatamente eroso. La portata emozionale azzerata.
Meisel lascia che la moda tolga l'odore di morte dalle sue fotografie.
Ma non per creare una vuota esaltazione visuale.
Il risultato è una lastra di vetro opaca attraverso la quale distinguiamo la nostra capacità critica, nella quale vediamo riflesse le quotidiane immagini televisive ammorbanti e dalla quale nascono riflessi accecanti che forse colpiscono la nostra coscienza.
Non c'è risposta in queste immmagini. E non c'è neanche domanda.
Come sempre in Meisel l'estetica schiaccia l'etica consapevolmente. L'osservazione diventa sguardo. Il niente diventa tutto.
Lo straordinario è vedere accadere sulle pagine di un giornale di moda quello che molti fanno quotidianamente ma senza consapevolezza: ricostruiscono a propria immagine un mondo in cui è sempre più faticoso distinguere il bene dal male.
http://style.it/cont/vogue/home-vogue.asp
sabato 8 settembre 2007
flairethical
Immagino che dietro il concetto di etica stia il concetto di responsabilità verso l'altro da sè.
Dico immagino perchè non essendo un filosofo non ne conosco l'architettura semiotica fino in fondo. Ma mi viene da pensare che un atto sia etico se responsabile, se valutato, se inserito in un contesto a cui non fa male, anzi a cui magari fa bene.
Ma un atto può anche dare risultato zero. Cioè non cambiare niente. Lasciare le cose come stavano prima. Forse la peggiore delle fini.
Un servizio sul numero di Settembre di Flair mi ha fatto pensare.
E' un servizio di moda con belle foto di Jean-Francois Campos e styling di Mika Mizutani realizzato in una comunità di zigani in Serbia. Una comunità di zigani poveri, molto poveri, visibilmente molto poveri, in un paese il cui solo nome porta ricordi di guerra.
E' già poco comprensibile l'avvicinare il lusso più sfrenato alla miseria ma ancora meno comprensibile è l'approccio verso questo progetto raccontato da Elena Bellini:
"...Il primo giorno, in albergo, ecco il problema: non c'è energia elettrica, il parrucchiere non può lavorare. Panico: e adesso? Niente paura: i nostri nuovi amici ci hanno portati nel salotto di una casa..."
"...Presto sono diventati un festoso impiccio ( i bambini n.d.r.): Campos era assediato, Marta anche. Così, lampo di genio: Mika e io con le nostre piccole digitali, ci siamo messi a ritrarli. Loro erano felici..."
Mi domando quale sia il pensiero dietro questo atto.
Ma soprattutto mi domando se questo atto avrà un impatto positivo, negativo o zero sulle 162.000 lettrici del giornale. Si esalteranno, chiuderanno il giornale schifate o semplicemente, e forse tristemente, passeranno oltre annoiate?
Dico immagino perchè non essendo un filosofo non ne conosco l'architettura semiotica fino in fondo. Ma mi viene da pensare che un atto sia etico se responsabile, se valutato, se inserito in un contesto a cui non fa male, anzi a cui magari fa bene.
Ma un atto può anche dare risultato zero. Cioè non cambiare niente. Lasciare le cose come stavano prima. Forse la peggiore delle fini.
Un servizio sul numero di Settembre di Flair mi ha fatto pensare.
E' un servizio di moda con belle foto di Jean-Francois Campos e styling di Mika Mizutani realizzato in una comunità di zigani in Serbia. Una comunità di zigani poveri, molto poveri, visibilmente molto poveri, in un paese il cui solo nome porta ricordi di guerra.
E' già poco comprensibile l'avvicinare il lusso più sfrenato alla miseria ma ancora meno comprensibile è l'approccio verso questo progetto raccontato da Elena Bellini:
"...Il primo giorno, in albergo, ecco il problema: non c'è energia elettrica, il parrucchiere non può lavorare. Panico: e adesso? Niente paura: i nostri nuovi amici ci hanno portati nel salotto di una casa..."
"...Presto sono diventati un festoso impiccio ( i bambini n.d.r.): Campos era assediato, Marta anche. Così, lampo di genio: Mika e io con le nostre piccole digitali, ci siamo messi a ritrarli. Loro erano felici..."
Mi domando quale sia il pensiero dietro questo atto.
Ma soprattutto mi domando se questo atto avrà un impatto positivo, negativo o zero sulle 162.000 lettrici del giornale. Si esalteranno, chiuderanno il giornale schifate o semplicemente, e forse tristemente, passeranno oltre annoiate?
martedì 4 settembre 2007
stefano pilati docet
Di fronte ad un sistema politicamente "corrotto" non avevo altro modo per giungere alla mia consumatrice se non con un manifesto.
ysl.com
ysl.com
maria laura rodotà docet
La profana che entra in un giornale femminile (a me è capitato, per dirigerlo poi, e hanno avuto tutti molta pazienza) come prima cosa si informa: "Ma perchè nelle foto non si vedono i vestiti? Perchè qui c'è solo l'immagine sfocata di una manica? Perchè la doppia pagina in mezzo a questo servizio è dedicata ad un cavallo?...Ma era proprio necessario mandare fotografo, redattrice, assistenti e modelle nelle savane del Kenya se poi ci troviamo con ragazze quasi invisibili perse in uno sterrato che sembra di stare a Torbellamonaca? Non era più economico andare a Torbella almeno?"...
...E' colpa di tutti. Del circolo vizioso tra giornali-fotografi-inserzionisti della moda. Diventato così autoreferenziale da escludere il punto di vista della lettrice-eventualmente compratrice. Che infatti compra sempre meno, sia riviste, che abiti, che accessori. Perchè, a furia di elevare l'immagine, la moda ha perso immagine. Non ha più la centralità di un tempo nei discorsi e nei desideri...
dal Corriere della Sera del 4 Settembre 2007
...E' colpa di tutti. Del circolo vizioso tra giornali-fotografi-inserzionisti della moda. Diventato così autoreferenziale da escludere il punto di vista della lettrice-eventualmente compratrice. Che infatti compra sempre meno, sia riviste, che abiti, che accessori. Perchè, a furia di elevare l'immagine, la moda ha perso immagine. Non ha più la centralità di un tempo nei discorsi e nei desideri...
dal Corriere della Sera del 4 Settembre 2007
venerdì 24 agosto 2007
natalia aspesi docet
"...non sono capace, mentre delle bravissime colleghe lo sono, di mettere quaranta nomi in cinquanta righe dicendo che sono tutti bravi. Non si capisce perchè puoi dire che i capi di governo hanno fatto degli errori, invece quando parli di moda sono tutti perfetti...
...Le cose inutili non si rilevano. Un criminale che sfila non si rileva (Corona n.d.r.)...
...La moda non ha capito che si è fatta male da sola, perchè è vero che tutti hanno due righe sui giornali, però ne ha due chi meriterebbe di più e chi nulla...
...Il tanga ha ucciso la moda e il sesso...Oggi c'è il vestire, il poter comprare a tutti i prezzi, ma la moda è finita negli anni novanta..."
da un'intervista su D la repubblica delle donne del 14 Luglio 2007
...Le cose inutili non si rilevano. Un criminale che sfila non si rileva (Corona n.d.r.)...
...La moda non ha capito che si è fatta male da sola, perchè è vero che tutti hanno due righe sui giornali, però ne ha due chi meriterebbe di più e chi nulla...
...Il tanga ha ucciso la moda e il sesso...Oggi c'è il vestire, il poter comprare a tutti i prezzi, ma la moda è finita negli anni novanta..."
da un'intervista su D la repubblica delle donne del 14 Luglio 2007
martedì 21 agosto 2007
dicono dell'a.i. 2007/2008
"sono ossessionata dall'innovazione: ho lavorato sui colori e sui materiali, creando nuove e complesse combinazioni, per dare modernità alla collezione"
miuccia prada
"la mia collezione incarna una donna libera, che fa del glamour la propria arma di seduzione...un pò Gloria Swanson e molto Veronica Lake, con un pizzico di Charlize Theron e una buona dose di Sharon Stone"
roberto cavalli
miuccia prada
"la mia collezione incarna una donna libera, che fa del glamour la propria arma di seduzione...un pò Gloria Swanson e molto Veronica Lake, con un pizzico di Charlize Theron e una buona dose di Sharon Stone"
roberto cavalli
i nostri figli
Il giorno in cui Nicolas Ghesquiere entra nello studio di Jean Paul Gaultier ha ventun anni. E’ molto emozionato, e nei lunghi minuti in cui lo fanno attendere alla reception chiude gli occhi e immagina di trovarsi tra i verdi ed eleganti campi da golf che suo padre amministra, si vede sdraiato lì in mezzo e si rilassa. Quando riapre gli occhi davanti a lui c’è un simpatico signore con i capelli rasati e molti tatuaggi che lo guarda incuriosito. E poco dopo gli offre un lavoro.
Nicolas non avrebbe mai immaginato che da lì a qualche anno sarebbe diventato “il più influente designer sulla faccia della terra” , per usare le scarne parole di Vogue America.
Nei due anni che passa chez Gaultier incamera l’essenza della moda parigina, assorbe lo stress da cambiamento stagionale e capisce che ne può fare un paradigma, piega lo sguardo di fronte alla precisione millimetrica per le scelte stilistiche del suo maitre de couture e ne impara i segreti.
Poi se ne va e prende una direzione che lo porterà ad incenerire l’eredità di Jean Paul. Oltre che quella di tutti gli ormai cinquantenni creatori figli degli anni ottanta.
Quando nel 1995 Stefano Pilati sale per la prima volta le poche scale del quartier generale di Prada in Via Spartaco pensa di essere arrivato ad un traguardo nella sua vita lavorativa. Poi pensa che non sarà all’altezza del compito. Poi pensa che la sua educazione borghese che ha imparato a rifiutare forse lo aiuterà.
Nei lunghi anni passati a sperimentare stampe, lavorazioni e finissagi nell’ufficio tessuti acquisisce un rigore giansenistico che lo aiuta ad abbassare la testa ogni volta che gli è richiesto. Ma impara anche quanto la libertà creativa sorga spontanea da un intelletto forte.
Quando nel 2004 il mondo della moda si frantuma di fronte all’uscita di scena di Tom Ford è pronto a prenderne il posto da Yves Saint Laurent. E sente che per la prima volta gli è concesso di alzare la testa. Definitivamente.
Di lui Suzy Menkes, forse la più autorevole giornalista di moda del mondo, dice che è riuscito ad arrivare all’anima del marchio. Parla di “class act”.
Hanno qualcosa in comune questi due acclamati talenti? Non l’età, non la nazionalità, non l’approccio verso il design e neanche il gusto personale. Non vendono allo stesso pubblico, né appartengono allo stesso gruppo finanziario. Non hanno riferimenti culturali o estetici in comune, non amano le stesse icone, gli stessi film, la stessa musica.
Il loro legame è una approccio incredibilmente etico verso la moda. Una partecipazione responsabile al contesto socioculturale che li circonda, una capacità comunicativa che va molto oltre il segno estetico e riesce a inglobare una visione del mondo futuribile pensando a scenari sostenibili. E questo è probabilmente l’unico vero passo avanti che la moda ha fatto, anche attraverso di loro, negli ultimi dieci anni.
Nella sua ultima collezione Balenciaga per l’autunno inverno 2007-2008 Nicolas Ghesquiere disegna un mondo che finalmente non ha confini. Un mondo che sarebbe piaciuto a John Lennon ma che piacerebbe molto anche ad Al Gore. Raccoglie segni da tutte le etnie del mondo costringendoli a coesistere con il rigore delle uniformi dei college inglesi. Imbandisce una festa scolastica che raccoglie nel cortile centrale giovani studenti da tutto il mondo. Che parlano una lingua uguale per tutti e le cui individualità non si riconoscono più perché ne esce una nuova, universale.
Forse sono i figli di Myspace e Youtube ma di certo non pensano di vivere dentro Secondlife.
Le forme della collezione sono occidentali, la silhouette quotidiana, i materiali consueti. Ma colori e motivi stranieri irrompono creando spaccature sulle superfici piatte, deformando la costruzione armonica dell’abbigliamento borghese, stridendo e quasi soccombendo alla pressione estetica. Il caos che ne deriva è liberatorio e allo stesso tempo elegante, rispettoso della cultura europea e insieme anarchico.
Stefano Pilati si occupa solo apparentemente di ascetismo. Usa ogni capo come una grigia pietra focaia per accendere la passione di chi guarda e nella sua collezione autunno-inverno 2007/2008 discende nell’antro umido e polveroso dell’alta moda per fare piazza pulita della paura di cambiamento, sua e del mondo. Da quando è arrivato alla direzione creativa di Yves Saint Laurent è stato rispettoso della grandiosità del nome, della pesantezza dell’eredità, dei giudizi della stampa, ha camminato lentamente sentendosi guardato a vista. Liberato improvvisamente da ogni vincolo ha lavorato sul concetto di spreco, eliminando tagli inutili, costruendo silhouettes più semplici da tagliare, usando addirittura gli stessi cartamodelli per fare cappotti e abiti. Non allontanandosi dalla centralità del tema del lusso, ha tagliato via tutto il superfluo tornando a raccontare una storia di creatività essenziale.
Per entrambi la moda può di nuovo raccontare storie. Come negli anni ottanta descriveva un pericoloso ma eccitante eclettismo estetico ed etico, una conflittualità tra generi e razze che sarebbe presto esplosa in infinite guerre, così oggi il corpo smette di essere un valore assoluto e torna ad essere un tramite di messaggio, o come dice Baudrillard “metafora di sé stesso”. Tornare a leggere il significato della moda e la sua attinenza al sociale è tornato possibile, anzi necessario. E dopo l’ubriacatura chirurgo estetica degli anni novanta l’abito può ricominciare a vestire il corpo, e quindi il mondo, sfumandone il senso, allargandolo, ridescrivendolo. Immaginandolo migliore.
Nicolas non avrebbe mai immaginato che da lì a qualche anno sarebbe diventato “il più influente designer sulla faccia della terra” , per usare le scarne parole di Vogue America.
Nei due anni che passa chez Gaultier incamera l’essenza della moda parigina, assorbe lo stress da cambiamento stagionale e capisce che ne può fare un paradigma, piega lo sguardo di fronte alla precisione millimetrica per le scelte stilistiche del suo maitre de couture e ne impara i segreti.
Poi se ne va e prende una direzione che lo porterà ad incenerire l’eredità di Jean Paul. Oltre che quella di tutti gli ormai cinquantenni creatori figli degli anni ottanta.
Quando nel 1995 Stefano Pilati sale per la prima volta le poche scale del quartier generale di Prada in Via Spartaco pensa di essere arrivato ad un traguardo nella sua vita lavorativa. Poi pensa che non sarà all’altezza del compito. Poi pensa che la sua educazione borghese che ha imparato a rifiutare forse lo aiuterà.
Nei lunghi anni passati a sperimentare stampe, lavorazioni e finissagi nell’ufficio tessuti acquisisce un rigore giansenistico che lo aiuta ad abbassare la testa ogni volta che gli è richiesto. Ma impara anche quanto la libertà creativa sorga spontanea da un intelletto forte.
Quando nel 2004 il mondo della moda si frantuma di fronte all’uscita di scena di Tom Ford è pronto a prenderne il posto da Yves Saint Laurent. E sente che per la prima volta gli è concesso di alzare la testa. Definitivamente.
Di lui Suzy Menkes, forse la più autorevole giornalista di moda del mondo, dice che è riuscito ad arrivare all’anima del marchio. Parla di “class act”.
Hanno qualcosa in comune questi due acclamati talenti? Non l’età, non la nazionalità, non l’approccio verso il design e neanche il gusto personale. Non vendono allo stesso pubblico, né appartengono allo stesso gruppo finanziario. Non hanno riferimenti culturali o estetici in comune, non amano le stesse icone, gli stessi film, la stessa musica.
Il loro legame è una approccio incredibilmente etico verso la moda. Una partecipazione responsabile al contesto socioculturale che li circonda, una capacità comunicativa che va molto oltre il segno estetico e riesce a inglobare una visione del mondo futuribile pensando a scenari sostenibili. E questo è probabilmente l’unico vero passo avanti che la moda ha fatto, anche attraverso di loro, negli ultimi dieci anni.
Nella sua ultima collezione Balenciaga per l’autunno inverno 2007-2008 Nicolas Ghesquiere disegna un mondo che finalmente non ha confini. Un mondo che sarebbe piaciuto a John Lennon ma che piacerebbe molto anche ad Al Gore. Raccoglie segni da tutte le etnie del mondo costringendoli a coesistere con il rigore delle uniformi dei college inglesi. Imbandisce una festa scolastica che raccoglie nel cortile centrale giovani studenti da tutto il mondo. Che parlano una lingua uguale per tutti e le cui individualità non si riconoscono più perché ne esce una nuova, universale.
Forse sono i figli di Myspace e Youtube ma di certo non pensano di vivere dentro Secondlife.
Le forme della collezione sono occidentali, la silhouette quotidiana, i materiali consueti. Ma colori e motivi stranieri irrompono creando spaccature sulle superfici piatte, deformando la costruzione armonica dell’abbigliamento borghese, stridendo e quasi soccombendo alla pressione estetica. Il caos che ne deriva è liberatorio e allo stesso tempo elegante, rispettoso della cultura europea e insieme anarchico.
Stefano Pilati si occupa solo apparentemente di ascetismo. Usa ogni capo come una grigia pietra focaia per accendere la passione di chi guarda e nella sua collezione autunno-inverno 2007/2008 discende nell’antro umido e polveroso dell’alta moda per fare piazza pulita della paura di cambiamento, sua e del mondo. Da quando è arrivato alla direzione creativa di Yves Saint Laurent è stato rispettoso della grandiosità del nome, della pesantezza dell’eredità, dei giudizi della stampa, ha camminato lentamente sentendosi guardato a vista. Liberato improvvisamente da ogni vincolo ha lavorato sul concetto di spreco, eliminando tagli inutili, costruendo silhouettes più semplici da tagliare, usando addirittura gli stessi cartamodelli per fare cappotti e abiti. Non allontanandosi dalla centralità del tema del lusso, ha tagliato via tutto il superfluo tornando a raccontare una storia di creatività essenziale.
Per entrambi la moda può di nuovo raccontare storie. Come negli anni ottanta descriveva un pericoloso ma eccitante eclettismo estetico ed etico, una conflittualità tra generi e razze che sarebbe presto esplosa in infinite guerre, così oggi il corpo smette di essere un valore assoluto e torna ad essere un tramite di messaggio, o come dice Baudrillard “metafora di sé stesso”. Tornare a leggere il significato della moda e la sua attinenza al sociale è tornato possibile, anzi necessario. E dopo l’ubriacatura chirurgo estetica degli anni novanta l’abito può ricominciare a vestire il corpo, e quindi il mondo, sfumandone il senso, allargandolo, ridescrivendolo. Immaginandolo migliore.
venerdì 17 agosto 2007
Perchè sollevare la questione
Perchè di moda ed etica si parla semplicemente troppo poco.
Vorrei che questo diventasse un posto da cui fare un serio punto della situazione.
Innanzitutto raccogliendo materiale, esperienze, opinioni, links.
Vorrei che questo diventasse un posto da cui fare un serio punto della situazione.
Innanzitutto raccogliendo materiale, esperienze, opinioni, links.
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