domenica 28 ottobre 2007

and the winner is

Ed eccola, dibattibile finchè vi pare, la prima classifica di fashionethical.
Collezioni che spingono la riflessione sul senso del vestire in avanti.
Designers che non hanno paura di niente se non dello stare muti.
Per motivi di incommensurabilità è divisa tra celebrities e newcomers.

Celebrities

1.Baleciaga - Nicolas Guesquière

2.Yves Saint Laurent - Stefano Pilati

3.Nina Ricci - Olivier Theyskens

4.Maison Martin Margiela

5.Lanvin - Albert Elbaz

6.Jil Sander - Raf Simons

7.Comme des Garcons - Rei Kawakubo

8.Prada - Miuccia Prada

9.6267 - Roberto Rimondi e Tommaso Aquilano

10.Chloè - Paulo Melim Andersson


Newcomers

1.Gareth Pugh

2.Jonathan Saunders

3.Giles - Giles Deacon

4.Peter Jensen

5.Christopher Kane

6.Bruno Pieters

7.Marios Schwab

8.Jens Laugesen

martedì 23 ottobre 2007

il bene in sè

Attualmente, il maggiore bisogno economico dell'America sono standard etici più elevati -- standard rafforzati da leggi severe e sostenuti da capitani d'industria responsabili.
George W. Bush, attuale Presidente degli USA, discorso sulla responsabilità aziendale - 9 Luglio 2002


Mi accorgo di non aver ancora detto quale rapporto ci possa o ci debba essere tra moda ed etica pur essendo quello il tema del blog e pur avendo scritto il primo post l'ormai lontano 17 agosto.
Non l'ho mai fatto perchè in qualche modo pensavo che fosse scontato. Ma google la pensa diversamente e rimanda solo siti di abbigliamento ecologico se sollecitato con queste due parole.E invece questo blog con l'ecologia o l'ecosostenibilità non ha niente a che fare. Ma tenta di far emergere le contraddizioni che ci sono tra pensiero, parola e azione di chi pratica il mondo della moda per professione o per diletto. Tenta di sostenere che esistono pensieri, parole ed azioni oggettivamente buoni ed altri oggettivamente cattivi. E che il distinguerli diventi sempre più complesso.

Purtroppo da quando avere una macchina ibrida o guardare il documentario di Al Gore è diventato salvifico molti hanno trovato un sistema per smettere di pensare o solo per ridirezionare il proprio pensiero verso concetti semplificati.
Invece spesso il cotone ecologico usato per fabbricare la t-shirt ecologica viene dall'altro capo della terra ed è trasportato da un jet non ecologico. Mentre il sudorifero poliestere nasce sotto casa nostra e non comporta spese di trasporto.
E questo è solo l'inizio della lista dei luoghi comuni. Che è purtroppo lunghissima.
Dentro ci stanno per esempio tutte le cattivissime direttrici di giornali che vestono prada, cattive che più cattive non si può da sempre, dominatrici dittatoriali di un universo inviolabile. Che nessuno si sforza di cambiare però.
Poi ci stanno le prezzolate quotidianiste di moda, onta e disonore della stampa italiana, a cui nessuno si sogna di togliere la pubblicità.
E giù (o sù) fino agli allegri enti organizzatori di sfilate e presentazioni che pestano i piedi ai deboli regalando visibilità ai forti che neanche una voce si leva a criticare.
Per arrivare infine alle istituzioni, sacre ma così sacre, da non essere tenute in considerazione da nessuno.

Il pensiero umano evita per default evidentemente ciò che gli sembra troppo complesso o incommensurabile con la propria capacità di comprensione.
Etico invece è lo sforzo di pensare diretto verso un'idea di bene in sè.
Che non dà necessariamente un risultato visibilmente etico, ma che del fatto che esistano comportamenti etici è il risultato.

giovedì 18 ottobre 2007

shi wanna

lapo elkann avrà la direzione creativa di caraceni.
un pò come dare la shi seido a wanna marchi.

mercoledì 17 ottobre 2007

la moda, la città e la guerra

Le città della moda nel mondo sono da tempo le stesse.
Per quanto ci siano innumerevoli tentativi di imitazione rimangono salde New York, Parigi e Milano nell'immaginario collettivo e negli itinerari dei buyers.
Londra arranca faticosamente ma rimane solo un incubatore di talenti senza importanza economica.
In Asia, malgrado il gran parlare, non succede niente da un punto di vista di innovazione creativa.
Sarebbe ragionevole pensare che tutti gli sforzi degli operatori italiani fossero diretti verso l'unico fine di supportare la capitale morale nel suo ruolo.
Invece si spintonano maldestramente Firenze, Roma e persino Como.
Si organizzano fiere, eventi e sfilate praticamente ovunque dissipando le energie in un quadro disarmonico e poco articolato.
Singolarmente le iniziative funzionano, riunite in un quadro d'insieme no.
Mentre Roma celebra Valentino con una grande mostra nientedimeno che all'Ara Pacis e Firenze ottiene grande visibilità con operazioni culturali e commerciali intelligenti (leggi: Contromoda a Palazzo Strozzi e Pitti W, precollezioni donna durante Pitti Uomo) Milano, tapina, trova intelligente ospitare una grande mostra su Vivienne Westwood dimenticandosi dell'anniversario della morte di Versace.
Forse la moda è semplicemente un enorme serbatoio a cui tutti possono attingere o forse la mitica età dei comuni di guelfi contro ghibellini non è mai finita.
Pare chiaro però che sia finita l'era dell'alta moda dalle parti di Roma e dei serici stampati floreali dalle parti di Como. Quanto alla motivazione storica che avvicina Firenze alla moda non mi è mai stata chiara.
Eppure chi dovrebbe pensare a coordinare questo quadro così confuso, a ridare priorità, a riscrivere in termini strategici le singole identità facendole marciare verso un progetto comune latita. O forse non esiste.
Economicamente un grosso affare, la moda innervosisce quando si tratta di innescare ragionamenti che portino al superamento di stupidi particolarismi.
E così Milano, Firenze e Roma continuano allegramente a farsi la guerra.

mercoledì 10 ottobre 2007

in ginocchio

andate su viviennewestwood.com nella sezione AR.
controsito anticommerciale della regina.
e mettetevi in ginocchio.

martedì 9 ottobre 2007

love

god loves him, whatever he does. if we don't have designers like him we might as well stop coming.

sarah rutson, buyer di lane crawford, department store di hong kong, sulla sfilata di alexander mac queen dedicata a isabella blow

piccoli designers non crescono

in risposta al mio post su isabella blow e alle mie domande, si sono scatenate molte e articolate risposte.
il tema mi piace e quindi voglio riparlarne.
facendo se possibile un pò di chiarezza.
coltivare è una parola che vuol dire (cito da un vecchio dizionario di etimologia) "portare avanti l'aratro e in senso metaforico attendere con premura, rispettare, venerare"; ne discende il sostantivo colto.
educare vuol dire "aiutare, con opportuna disciplina, a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell'animo e le potenze della mente. Condurre fuori dai difetti"
entrambi i concetti, anche se espressi in maniera ottocentesca sono omologhi, entrambi necessari a far nascere piante, città, idee, talenti.
non ho mai creduto, e continuo a non credere, che esistano paesi o aree che producono talenti attraverso la genetica di cromosomi più atletici degli altri.
il belgio, l'inghilterra, la francia. che cosa hanno di diverso da italia o albania?
un sistema educativo e sociale che coltiva il talento, lo nutre, lo rispetta.
l'italia, semplicemente non ce l'ha.
e il problema non sono solo le scuole (che comunque ne sono una parte) ma le istituzioni, la politica, il sistema culturale in cui gli spiriti creativi affondano le radici.

lo so che è facile a dirsi.
ma è purtroppo vero come è vero che i poli si stanno sciogliendo o che la ventura ha i denti finti.
eppure esiste una ricetta per cambiare.
che non è il lamento ma il lavoro, non la frustrazione ma l'azione, non le parole ma i fatti.
c'è una generazione di vecchi stilisti, vecchie redattrici e vecchi amministratori delegati che sono a capo di vecchi marchi, vecchi giornali e vecchie aziende.
si tratta di spazzarli via. eliminarli come si eliminano i vecchi vestiti.
e ricominciare a coltivare il terreno ormai secco.
cominciamo da qui.


The actress hasn't learned the lines you'd like to hear

She won't join your clubs, she won't dance in your halls

She won't help the hungry once a month at your tombolas

She'll simply take control as you disappea
r

madonna, evita.

domenica 7 ottobre 2007

senza parole 2 - gareth pugh

cogito ergo sum

- Questa passione dei giovani di vivere contemporaneamente tra il virtuale e la realtà non è che è solo un'utopia?
- Io sono ottimista riguardo alla loro capacità di avere la meglio. Iperinformati, nati davanti ad un computer hanno saputo ricostituire e digitalizzare il proprio universo poetico, circondati da rappresentazioni di scuoiati vivi, da Lautrèamont a Doherty...
Tutto, alla fine, deve essere reinventato, e senza dubbio bisogna rispettare una maturità nei gusti e nelle aspirazioni del mondo che ci circonda. Internet è la realtà. Davanti ad una tale mutazione non resta che prendere la tangente, premunirsi contro l'immobilismo, la reazione, il conformismo. Siamo in un tempo reale. Non è lo spazio siderale, ma una diversa percezione poetica. In breve: il 2007.

- Nei tuoi propositi c'è molto ottimismo. Ma cosa ne pensi del rapporto tra globalizzazione, creazione e performance commerciale?
- Oggi mi pare illusoria l'idea di rinchiudersi in uno spazio protetto. La globalizzazione è un dato di fatto. E' indispensabile trovare un punto di vista, un legame, delle affinita elettive in scala planetaria. Perchè la dimensione è globale ed è sempre più necessario essere vigili sul senso delle cose. Il senso, l'idea e l'impegno prima di tutto. Sono molto scettico sugli strumenti del marketing. Non si va avanti guardando il retrovisore, a meno di non essere dei followers. L'idea viene prima, il marketing poi. Il marketing non può che favorire l'avvicinamento, non sostituirsi alla creazione. Aderire ad un format non vuol dire avere risultati; per avere risultati bisogna pensare diversamente. Penso a Youtube , ma gli esempi sono centinaia. Bisogna intuire, prima di ragionare. Addirittura sragionare può dare ottimi risultati...
In materia di moda si tratta di riconciliare forma e contenuto, in un contesto saturato da marchi improbabili. Le collezioni stagionali, presentate un anno in anticipo, non corrispondono più a niente, tutto è online dopo pochi secondi. Nell'impossibilità di cambiare la logistica, la moda è in ritardo sulla moda, e si difende a colpi di precollezioni e postcollezioni. Cosa che aveva un senso ma non ne ha più. Questa è per me essenzialmente la questione dietro lo sviluppo di un marchio nel prossimo futuro.

da un'intervista a Hedi Slimane su Le Monde

senza parole - balenciaga

in un mondo che

viviamo in un mondo in cui sisley fa un'edizione limitata.
che è come dire vieni a passare una vacanza esclusiva a Sharm, compra questa torta al cacao con dentro gocce di vero cioccolato, comprati un van che in realtà è il salotto di Milano.
e ricordati che tutto questo lo facciamo per te.
perchè tu vali.

sabato 6 ottobre 2007

innovazioni tecnologiche

da oggi potete avere feed rss o avvisi in mail ad ogni nuovo post.
tecnologico no?

Forse


Che cosa ne sa una cliente di Vladivostok della ricerca spirituale di semplicità di Stefano Pilati da Yves saint Laurent? Che cosa succede all'intellettualismo elitario di Raf Simons da Jil Sander quando arriva a Dallas, Texas? Perchè la prima domanda che si fa Sarah Mower, stimata redattrice del visitatissimo sito online di Vogue America, Style.com, è se i vestiti che hanno appena sfilato venderanno e quanto? Con che interesse distributori e buyer che vendono vagonate di sconosciute seconde linee piene di pantaloni dalla vestibilità perfetta osservano una collezione di Comme Des Garcons? Da quanto tempo la moda è passata nelle mani di stiliste donne che hanno un approccio quantomeno quotidiano al prodotto, designer come Frida Giannini, Phoebe Philo, Consuelo Castiglioni, Ivana Omazic? Quanti progetti personali con una vera forza innovativa e la capacità di creare scenari autonomi esistono nella moda oggi?
Forse, è per la paura di rispondere a queste domande che Isabella Blow, scopritrice e musa di grandi talenti, ha alla fine deciso di bere del diserbante e lasciarsi morire.