domenica 2 dicembre 2007

la libertà

"La libertà non deve avere aggettivi. E' solo la libertà"

Enzo Biagi

domenica 25 novembre 2007

il diavolo non veste prada

Arriva su Sky in questi giorni "Il diavolo veste Prada" e si aspetta con ansia la puntata di Report di Milena Gabbanelli sulle connessioni e/o connivenze tra moda ed editoria. Il mondo della moda affronta un inverno da cui si risveglierà diverso: molti marchi importanti (tra cui Prada) arriveranno alla quotazione in borsa, molti misteri su nuovi progetti verranno svelati (Schiapparelli, Halston) e sostanzialmente la geografia industriale tenterà di adeguarsi ad un calo di consumi dovuto all'Euro troppo forte e tenterà di serrare i ranghi per trovare una risposta all'incombenza di Cina e India.
L'ex paradiso della Milano da bere non esiste più da molto tempo.Non esistono più scatenati stilisti che fanno fortune (o sfortune) di piccole aziende, nè geniali manager che decidono di puntare tutto su marchi mai sentiti nominare e non esistono più giornaliste che con un facile colpo di penna stilografica firmano rubriche che decretano l'ascesa ai vertici di sconosciuti creatori.
Il sistema moda italiano vive di aziende medie e medio-grandi che fino a poco tempo fa avevano nonni, zii e parenti nel consiglio di amministrazione che non avevano gli strumenti per capire i cambiamenti sociali nè la capacità per agire di conseguenza. Un universo frammentato e lontano dal centro, periferico non solo geograficamente ma anche intellettualmente. E inoltre in Italia l'imprenditoria di moda aveva vissuto autonomamente rispetto agli altri comparti industriali, rispetto al sistema finanziario e a quello politico, esercitando una cieca teocrazia sul suo territorio e dimostrandosi diffidente ad ogni intervento esterno.
Ma il tempo passa e il mercato si globalizza e anche le piccole aziende in provincia di Modena o di Rimini devono decidersi ad affrontare una sfida mondiale.
E' opinione diffusa che in questo scenario il sistema editoriale italiano si inserisca come un alligatore in una palude piena di naufraghi stanchi, aspettando quieto di azzannare il più debole, succhiandone le energie economiche attraverso inutili e dispendiose pianificazioni stampa.
Di questo peccato capitale e, vicino a questo, di un uso privato del potere che ne deriva è spesso stata accusata l'omologa italiana della protagonista del film con Meryl Streep. Di questo e di molto altro. Ma in buona sostanza di avere, attraverso un potere immenso e dai contorni quasi sopranaturali, bloccato nel tempo e nello spazio il naturale sviluppo del sistema moda piegandolo alla sua volontà e quindi alle sue amicizie, alle sue parentele e spesso anche ai suoi capricci.
Da questa cartolina semplificata, che senz'altro meriterebbe un maggiore approfondimento, si lasciano fuori però molti dettagli.
Il primo è che, malgrado tutto, negli ultimi dieci anni l'industria della moda italiana si è ingrandita in maniera intelligente dando vita non solo a gruppi industriali solidi e in grado di competere con i francesi e gli americani, ma anche accogliendo innovazione e managerializzazione con una velocità che ha pochi paragoni.
E che a queste esperienze apparentemente semimiracolose la vicinanza di personaggi vestiti o no Prada non ha fatto per niente male ma caso mai li ha condotti più rapidamente al successo.
Il secondo punto è che, sempre in questi dieci anni, la parte dell'editoria che ancora si chiama femminile si è riempita di iniziative mangiasoldi che hanno raggiunto livelli grotteschi e che alla qualità hanno dedicato una colonna a pagina 273. Le edicole oggi sono piene di volumoni intrasportabili zeppi di pubblicità che riempiono le casse di tutti gli editori in maniera veramente bipartisan. Di respiro internazionale, qualità e ricerca neanche l'ombra. Tranne stranamente nei giornali della nerovestita cattivona che semplicemente ospitano e sono letti da chiunque abbia senso di esitere nel mondo della moda.
L'unione tra un punto di produzione di idee e il sistema moda ha prodotto più di un incontrovertibile risultato. Inutile neanche provare ad elencarli.
Ma è più semplice accettare racconti macchiettistici di direttrici furiosamente perverse e tristemente sole che interrogarsi su quanto gli ossimori a volte non siano risolvibili ma i risultati invece siano sempre visibili.

domenica 4 novembre 2007

scuola di moda - episodio 1




Marchio: Balenciaga
Designer: Nicolas Guequière
Collezione: p.e. 2008

Come molti marchi francesi il nostro numero uno ha un lungo e glorioso passato.
Fondato da Cristobal Balenciaga, spagnolo, classe 1895, esplode nel mondo della couture parigina all'inizio degli anni cinquanta. Duetta per il riconoscimento di massimo couturier di tutti i tempi con Christian Dior, francesissimo e dotatissimo anche lui, da quei tempi.Quello che Monsieur Balenciaga riesce a fare è semplice: scardina le vetuste regole della sartoria pre-guerra mondiale dove le pieghe stavano dove dovevano stare e ridisegna il corpo femminile con matita e forbice non ponendosi praticamente nessun limite.
Sarebbe piaciuto molto a Zaha Adid il suo spolverino in organza a forma di uovo che aveva bisogno di una sola cucitura per essere fatto.
Il tempo passa e i couturier muoiono lasciando al mondo gravi problemi di eredità.
Nel 1997, dopo più di un momento difficile, gli allora proprietari del marchio affidano la direzione creativa al giovane e promettente Nicolas Guesquière.
Facendo la mossa più intelligente mai fatta nel mondo della moda.
Oggi Balenciaga è semplicemente il marchio più adorato e cool del mondo.
Nicolas continua a lavorare in parallelo sull'eredità del maestro e sulla contemporaneità. Esplora il mondo di oggi guardandolo da molto lontano o da molto vicino.
Questa stagione ha voluto far ballare un passo a due al decadente universo fiorito delle tappezzerie ottocentesche e alle rigide costruzioni sartoriali dei corsetti dell'alta moda anni cinquanta.
Il risultato è un tutt'uno indistinguibile, a cui le categorie di bello e brutto sfuggono, ma che da un messaggio tanto incisivo quanto violento.
La leggiadria dei fiori e la rigidità delle forme scolpite nel neoprene sono un paradosso irrisolvibile.
Per quanto possa essere complicato da capire per i neofiti, Balenciaga è uno dei pochi progetti che racconta come la moda sia capace di leggere il presente avendo la buona creanza di non dimenticarsi che cos'è il passato.

scuola di moda - prologo

dopo il post arrabbiato di diego che, giustamente, urla il suo sconforto nei confronti di un elenco di nomi a lui incomprensibili, ho pensato a chi di moda non ne capisce una mazza ma è d'accordo sul principio di base che anima questo blog.
per questi avventurieri del web che pensano che ci sia da imparare anche dai taffetà e gli sbiechi, parte l'episodio uno della scuola di moda.
dove finalmente il difficile diventerà facile, l'incomprensibile comprensibile, il lontano vicino. perchè il settarismo non è etico.

sarà un pò lunga ma ce la possiamo fare.

tutto ciò è dedicato, ovviamente, a diego.

domenica 28 ottobre 2007

and the winner is

Ed eccola, dibattibile finchè vi pare, la prima classifica di fashionethical.
Collezioni che spingono la riflessione sul senso del vestire in avanti.
Designers che non hanno paura di niente se non dello stare muti.
Per motivi di incommensurabilità è divisa tra celebrities e newcomers.

Celebrities

1.Baleciaga - Nicolas Guesquière

2.Yves Saint Laurent - Stefano Pilati

3.Nina Ricci - Olivier Theyskens

4.Maison Martin Margiela

5.Lanvin - Albert Elbaz

6.Jil Sander - Raf Simons

7.Comme des Garcons - Rei Kawakubo

8.Prada - Miuccia Prada

9.6267 - Roberto Rimondi e Tommaso Aquilano

10.Chloè - Paulo Melim Andersson


Newcomers

1.Gareth Pugh

2.Jonathan Saunders

3.Giles - Giles Deacon

4.Peter Jensen

5.Christopher Kane

6.Bruno Pieters

7.Marios Schwab

8.Jens Laugesen

martedì 23 ottobre 2007

il bene in sè

Attualmente, il maggiore bisogno economico dell'America sono standard etici più elevati -- standard rafforzati da leggi severe e sostenuti da capitani d'industria responsabili.
George W. Bush, attuale Presidente degli USA, discorso sulla responsabilità aziendale - 9 Luglio 2002


Mi accorgo di non aver ancora detto quale rapporto ci possa o ci debba essere tra moda ed etica pur essendo quello il tema del blog e pur avendo scritto il primo post l'ormai lontano 17 agosto.
Non l'ho mai fatto perchè in qualche modo pensavo che fosse scontato. Ma google la pensa diversamente e rimanda solo siti di abbigliamento ecologico se sollecitato con queste due parole.E invece questo blog con l'ecologia o l'ecosostenibilità non ha niente a che fare. Ma tenta di far emergere le contraddizioni che ci sono tra pensiero, parola e azione di chi pratica il mondo della moda per professione o per diletto. Tenta di sostenere che esistono pensieri, parole ed azioni oggettivamente buoni ed altri oggettivamente cattivi. E che il distinguerli diventi sempre più complesso.

Purtroppo da quando avere una macchina ibrida o guardare il documentario di Al Gore è diventato salvifico molti hanno trovato un sistema per smettere di pensare o solo per ridirezionare il proprio pensiero verso concetti semplificati.
Invece spesso il cotone ecologico usato per fabbricare la t-shirt ecologica viene dall'altro capo della terra ed è trasportato da un jet non ecologico. Mentre il sudorifero poliestere nasce sotto casa nostra e non comporta spese di trasporto.
E questo è solo l'inizio della lista dei luoghi comuni. Che è purtroppo lunghissima.
Dentro ci stanno per esempio tutte le cattivissime direttrici di giornali che vestono prada, cattive che più cattive non si può da sempre, dominatrici dittatoriali di un universo inviolabile. Che nessuno si sforza di cambiare però.
Poi ci stanno le prezzolate quotidianiste di moda, onta e disonore della stampa italiana, a cui nessuno si sogna di togliere la pubblicità.
E giù (o sù) fino agli allegri enti organizzatori di sfilate e presentazioni che pestano i piedi ai deboli regalando visibilità ai forti che neanche una voce si leva a criticare.
Per arrivare infine alle istituzioni, sacre ma così sacre, da non essere tenute in considerazione da nessuno.

Il pensiero umano evita per default evidentemente ciò che gli sembra troppo complesso o incommensurabile con la propria capacità di comprensione.
Etico invece è lo sforzo di pensare diretto verso un'idea di bene in sè.
Che non dà necessariamente un risultato visibilmente etico, ma che del fatto che esistano comportamenti etici è il risultato.

giovedì 18 ottobre 2007

shi wanna

lapo elkann avrà la direzione creativa di caraceni.
un pò come dare la shi seido a wanna marchi.

mercoledì 17 ottobre 2007

la moda, la città e la guerra

Le città della moda nel mondo sono da tempo le stesse.
Per quanto ci siano innumerevoli tentativi di imitazione rimangono salde New York, Parigi e Milano nell'immaginario collettivo e negli itinerari dei buyers.
Londra arranca faticosamente ma rimane solo un incubatore di talenti senza importanza economica.
In Asia, malgrado il gran parlare, non succede niente da un punto di vista di innovazione creativa.
Sarebbe ragionevole pensare che tutti gli sforzi degli operatori italiani fossero diretti verso l'unico fine di supportare la capitale morale nel suo ruolo.
Invece si spintonano maldestramente Firenze, Roma e persino Como.
Si organizzano fiere, eventi e sfilate praticamente ovunque dissipando le energie in un quadro disarmonico e poco articolato.
Singolarmente le iniziative funzionano, riunite in un quadro d'insieme no.
Mentre Roma celebra Valentino con una grande mostra nientedimeno che all'Ara Pacis e Firenze ottiene grande visibilità con operazioni culturali e commerciali intelligenti (leggi: Contromoda a Palazzo Strozzi e Pitti W, precollezioni donna durante Pitti Uomo) Milano, tapina, trova intelligente ospitare una grande mostra su Vivienne Westwood dimenticandosi dell'anniversario della morte di Versace.
Forse la moda è semplicemente un enorme serbatoio a cui tutti possono attingere o forse la mitica età dei comuni di guelfi contro ghibellini non è mai finita.
Pare chiaro però che sia finita l'era dell'alta moda dalle parti di Roma e dei serici stampati floreali dalle parti di Como. Quanto alla motivazione storica che avvicina Firenze alla moda non mi è mai stata chiara.
Eppure chi dovrebbe pensare a coordinare questo quadro così confuso, a ridare priorità, a riscrivere in termini strategici le singole identità facendole marciare verso un progetto comune latita. O forse non esiste.
Economicamente un grosso affare, la moda innervosisce quando si tratta di innescare ragionamenti che portino al superamento di stupidi particolarismi.
E così Milano, Firenze e Roma continuano allegramente a farsi la guerra.

mercoledì 10 ottobre 2007

in ginocchio

andate su viviennewestwood.com nella sezione AR.
controsito anticommerciale della regina.
e mettetevi in ginocchio.

martedì 9 ottobre 2007

love

god loves him, whatever he does. if we don't have designers like him we might as well stop coming.

sarah rutson, buyer di lane crawford, department store di hong kong, sulla sfilata di alexander mac queen dedicata a isabella blow

piccoli designers non crescono

in risposta al mio post su isabella blow e alle mie domande, si sono scatenate molte e articolate risposte.
il tema mi piace e quindi voglio riparlarne.
facendo se possibile un pò di chiarezza.
coltivare è una parola che vuol dire (cito da un vecchio dizionario di etimologia) "portare avanti l'aratro e in senso metaforico attendere con premura, rispettare, venerare"; ne discende il sostantivo colto.
educare vuol dire "aiutare, con opportuna disciplina, a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell'animo e le potenze della mente. Condurre fuori dai difetti"
entrambi i concetti, anche se espressi in maniera ottocentesca sono omologhi, entrambi necessari a far nascere piante, città, idee, talenti.
non ho mai creduto, e continuo a non credere, che esistano paesi o aree che producono talenti attraverso la genetica di cromosomi più atletici degli altri.
il belgio, l'inghilterra, la francia. che cosa hanno di diverso da italia o albania?
un sistema educativo e sociale che coltiva il talento, lo nutre, lo rispetta.
l'italia, semplicemente non ce l'ha.
e il problema non sono solo le scuole (che comunque ne sono una parte) ma le istituzioni, la politica, il sistema culturale in cui gli spiriti creativi affondano le radici.

lo so che è facile a dirsi.
ma è purtroppo vero come è vero che i poli si stanno sciogliendo o che la ventura ha i denti finti.
eppure esiste una ricetta per cambiare.
che non è il lamento ma il lavoro, non la frustrazione ma l'azione, non le parole ma i fatti.
c'è una generazione di vecchi stilisti, vecchie redattrici e vecchi amministratori delegati che sono a capo di vecchi marchi, vecchi giornali e vecchie aziende.
si tratta di spazzarli via. eliminarli come si eliminano i vecchi vestiti.
e ricominciare a coltivare il terreno ormai secco.
cominciamo da qui.


The actress hasn't learned the lines you'd like to hear

She won't join your clubs, she won't dance in your halls

She won't help the hungry once a month at your tombolas

She'll simply take control as you disappea
r

madonna, evita.

domenica 7 ottobre 2007

senza parole 2 - gareth pugh

cogito ergo sum

- Questa passione dei giovani di vivere contemporaneamente tra il virtuale e la realtà non è che è solo un'utopia?
- Io sono ottimista riguardo alla loro capacità di avere la meglio. Iperinformati, nati davanti ad un computer hanno saputo ricostituire e digitalizzare il proprio universo poetico, circondati da rappresentazioni di scuoiati vivi, da Lautrèamont a Doherty...
Tutto, alla fine, deve essere reinventato, e senza dubbio bisogna rispettare una maturità nei gusti e nelle aspirazioni del mondo che ci circonda. Internet è la realtà. Davanti ad una tale mutazione non resta che prendere la tangente, premunirsi contro l'immobilismo, la reazione, il conformismo. Siamo in un tempo reale. Non è lo spazio siderale, ma una diversa percezione poetica. In breve: il 2007.

- Nei tuoi propositi c'è molto ottimismo. Ma cosa ne pensi del rapporto tra globalizzazione, creazione e performance commerciale?
- Oggi mi pare illusoria l'idea di rinchiudersi in uno spazio protetto. La globalizzazione è un dato di fatto. E' indispensabile trovare un punto di vista, un legame, delle affinita elettive in scala planetaria. Perchè la dimensione è globale ed è sempre più necessario essere vigili sul senso delle cose. Il senso, l'idea e l'impegno prima di tutto. Sono molto scettico sugli strumenti del marketing. Non si va avanti guardando il retrovisore, a meno di non essere dei followers. L'idea viene prima, il marketing poi. Il marketing non può che favorire l'avvicinamento, non sostituirsi alla creazione. Aderire ad un format non vuol dire avere risultati; per avere risultati bisogna pensare diversamente. Penso a Youtube , ma gli esempi sono centinaia. Bisogna intuire, prima di ragionare. Addirittura sragionare può dare ottimi risultati...
In materia di moda si tratta di riconciliare forma e contenuto, in un contesto saturato da marchi improbabili. Le collezioni stagionali, presentate un anno in anticipo, non corrispondono più a niente, tutto è online dopo pochi secondi. Nell'impossibilità di cambiare la logistica, la moda è in ritardo sulla moda, e si difende a colpi di precollezioni e postcollezioni. Cosa che aveva un senso ma non ne ha più. Questa è per me essenzialmente la questione dietro lo sviluppo di un marchio nel prossimo futuro.

da un'intervista a Hedi Slimane su Le Monde

senza parole - balenciaga

in un mondo che

viviamo in un mondo in cui sisley fa un'edizione limitata.
che è come dire vieni a passare una vacanza esclusiva a Sharm, compra questa torta al cacao con dentro gocce di vero cioccolato, comprati un van che in realtà è il salotto di Milano.
e ricordati che tutto questo lo facciamo per te.
perchè tu vali.

sabato 6 ottobre 2007

innovazioni tecnologiche

da oggi potete avere feed rss o avvisi in mail ad ogni nuovo post.
tecnologico no?

Forse


Che cosa ne sa una cliente di Vladivostok della ricerca spirituale di semplicità di Stefano Pilati da Yves saint Laurent? Che cosa succede all'intellettualismo elitario di Raf Simons da Jil Sander quando arriva a Dallas, Texas? Perchè la prima domanda che si fa Sarah Mower, stimata redattrice del visitatissimo sito online di Vogue America, Style.com, è se i vestiti che hanno appena sfilato venderanno e quanto? Con che interesse distributori e buyer che vendono vagonate di sconosciute seconde linee piene di pantaloni dalla vestibilità perfetta osservano una collezione di Comme Des Garcons? Da quanto tempo la moda è passata nelle mani di stiliste donne che hanno un approccio quantomeno quotidiano al prodotto, designer come Frida Giannini, Phoebe Philo, Consuelo Castiglioni, Ivana Omazic? Quanti progetti personali con una vera forza innovativa e la capacità di creare scenari autonomi esistono nella moda oggi?
Forse, è per la paura di rispondere a queste domande che Isabella Blow, scopritrice e musa di grandi talenti, ha alla fine deciso di bere del diserbante e lasciarsi morire.

sabato 29 settembre 2007

gentili lettori

Cari lettori tutti,

è inutile che mi facciate i complimenti per il blog.
Questo posto serve per scatenare discussioni.
Per il momento invece è morto.
Per colpa vostra, non certo mia.
Fate qualcosa, ve ne prego.
Ce le avrete pure delle opinioni, no?
E le potete esprimere anche in forma anonima se volete.

as fashion shows go by


Finite anche questa volta le sfilate milanesi, verrebbe da fare un bilancio.
Non tanto su quali siano i trend della prossima stagione. Domanda che ha smesso di interessare anche la velina più incallita. Ma sul significato di quello che è successo, anzi sul quanto significante sia quello che è successo.
Davanti ad un bicchiere di gin tonic verde subito dopo la sfilata di Prada, ancora elettrizzato, condividevo l'estasi intellettual/visiva con un gruppetto di giornalisti.
La mattina dopo, davanti ad un caffè sotto un cielo di pioggia, condividevo la stessa estasi stavolta con un direttore di giornale.
E in serata, condividevo sempre la solita estasi con una allegra community di modaioli amici.
L'estasi che veniva dalla sconvolgente forza di un pensiero, di una visione.
Quella di un'allegra ed attempata Miuccia Prada che di nuovo aveva dato una prova di coraggio.
Con una ricetta apparentemente semplice: si prende ogni singolo elemento su cui si può lavorare, dai materiali, ai colori, le forme, la decorazione, fino alla scenografia, la musica e i colori dei drinks e si spinge tutto al di fuori dei limiti dell'ordinaria accettabilità.
La signora Prada dice addirittura che il tema su cui ha lavorato, la fragilità e il lato onirico del femminile, sono cose che le danno il voltastomaco. E per questo motivo non ha avuto problemi nel rimescolarle.
Alice nel paese delle meraviglie è diventata una splendida e solitaria ragazza dagli occhi scavati, un'adolescente inquieta preda di sogni allucinati in cui animalesche creature seducenti si avviluppano intorno al seno, dietro le spalle, sulle gambe. La leggerezza di sottovesti di organza cammina a fianco a tristi pigiami forse usati da qualche bisnonno mai incontrato (o forse incontrato) mentre una lanterna magica proietta sulle pareti stranamente rotonde della stanza da giochi figure poco rassicuranti. L'universo delle favole, incontenibile trend di stagione, trova dalle parti di Via Bergamo una rilettura vetrificata, quasi morbosa.
E a tratti scatena lo stesso senso di colpa che sentiamo quando, inconsapevoli, affondiamo nelle pagine della lolita di Nabokov, nelle descrizioni malate dei suoi vestiti di pizzo, dei suoi capelli leggeri e la cosa, nostro malgrado, ci piace.

mercoledì 19 settembre 2007

Ittierre, vertici indagati per 1,3 milioni di euro di agevolazioni fiscali

L'azienda è al centro delle indagini della procura della repubblica di Campobasso per aver aggirato le leggi sull'import-export di tessuti e di capi d'abbigliamento...Secondo gli inquirenti Ittierre avrebbe acquistato tessuto dall'Est asiatico per poi consegnarlo a laboratori di confezioni di Tunisia, Marocco, Turchia, Romania e Macedonia attestando la provenienza comunitaria dei semilavorati ottenendo tra il 2003 e il 2006, grazie a certificazioni false, agevolazioni fiscali per un valore complessivo di 1,36 milioni di euro.

da MF Fashion di oggi

sabato 15 settembre 2007

voguethical


Difficilmente la parola etica si associa ad un giornale di moda. Questo perchè nella confusione di significati che attribuiamo al termine sembra improponibile avvicinarla ad un messaggio visivo che di solito veicola prodotti.
La moda, che ostinatamente continua a raccontarsi solo attraverso immagini fotografiche, non ha l'abitudine di far passare altri contenuti se non sè stessa che guarda sè stessa.
Esistono pochi giornali che si muovono in questa torbida melma semiotica non solo conoscendola ma tentando di ribaltarne il significato, respingendone a lato l'apparato pubblicitario, e strutturando un livello di comunicazione che va al di là dell'offerta di oggetti.
Il mondo è invaso da prodotti che di per sè non hanno nessun significato. Giornali e fotografi nè amplificano il valore, a volte lo creano dal niente.
Vogue Italia è un giornale amato da chi lavora nella moda ma anche odiato, perchè si concede la libertà di negare quello di cui vive.
Chi ha dato un'occhio anche veloce al numero di Settembre non ha potuto fare a meno di scontrarsi con la potenza delle immagini del servizio sulla guerra di Steven Meisel.
Improvvise, sporche, scioccanti, modaiole fino all'osso.
Non c'è protesta riguardo alla situazione ancora in atto, nè tentativo di informazione.
Solo un'attenta ricostruzione documentaristica delle condizioni dei soldati in Iraq proiettata sul set di uno shooting di moda. Il sacro e il profano vengono mescolati coscientemente. Il significato etico viene forzatamente eroso. La portata emozionale azzerata.
Meisel lascia che la moda tolga l'odore di morte dalle sue fotografie.
Ma non per creare una vuota esaltazione visuale.
Il risultato è una lastra di vetro opaca attraverso la quale distinguiamo la nostra capacità critica, nella quale vediamo riflesse le quotidiane immagini televisive ammorbanti e dalla quale nascono riflessi accecanti che forse colpiscono la nostra coscienza.
Non c'è risposta in queste immmagini. E non c'è neanche domanda.
Come sempre in Meisel l'estetica schiaccia l'etica consapevolmente. L'osservazione diventa sguardo. Il niente diventa tutto.
Lo straordinario è vedere accadere sulle pagine di un giornale di moda quello che molti fanno quotidianamente ma senza consapevolezza: ricostruiscono a propria immagine un mondo in cui è sempre più faticoso distinguere il bene dal male.


http://style.it/cont/vogue/home-vogue.asp

sabato 8 settembre 2007

flairethical

Immagino che dietro il concetto di etica stia il concetto di responsabilità verso l'altro da sè.
Dico immagino perchè non essendo un filosofo non ne conosco l'architettura semiotica fino in fondo. Ma mi viene da pensare che un atto sia etico se responsabile, se valutato, se inserito in un contesto a cui non fa male, anzi a cui magari fa bene.
Ma un atto può anche dare risultato zero. Cioè non cambiare niente. Lasciare le cose come stavano prima. Forse la peggiore delle fini.

Un servizio sul numero di Settembre di Flair mi ha fatto pensare.
E' un servizio di moda con belle foto di Jean-Francois Campos e styling di Mika Mizutani realizzato in una comunità di zigani in Serbia. Una comunità di zigani poveri, molto poveri, visibilmente molto poveri, in un paese il cui solo nome porta ricordi di guerra.
E' già poco comprensibile l'avvicinare il lusso più sfrenato alla miseria ma ancora meno comprensibile è l'approccio verso questo progetto raccontato da Elena Bellini:

"...Il primo giorno, in albergo, ecco il problema: non c'è energia elettrica, il parrucchiere non può lavorare. Panico: e adesso? Niente paura: i nostri nuovi amici ci hanno portati nel salotto di una casa..."
"...Presto sono diventati un festoso impiccio ( i bambini n.d.r.): Campos era assediato, Marta anche. Così, lampo di genio: Mika e io con le nostre piccole digitali, ci siamo messi a ritrarli. Loro erano felici..."

Mi domando quale sia il pensiero dietro questo atto.
Ma soprattutto mi domando se questo atto avrà un impatto positivo, negativo o zero sulle 162.000 lettrici del giornale. Si esalteranno, chiuderanno il giornale schifate o semplicemente, e forse tristemente, passeranno oltre annoiate?

martedì 4 settembre 2007

stefano pilati docet

Di fronte ad un sistema politicamente "corrotto" non avevo altro modo per giungere alla mia consumatrice se non con un manifesto.


ysl.com

maria laura rodotà docet

La profana che entra in un giornale femminile (a me è capitato, per dirigerlo poi, e hanno avuto tutti molta pazienza) come prima cosa si informa: "Ma perchè nelle foto non si vedono i vestiti? Perchè qui c'è solo l'immagine sfocata di una manica? Perchè la doppia pagina in mezzo a questo servizio è dedicata ad un cavallo?...Ma era proprio necessario mandare fotografo, redattrice, assistenti e modelle nelle savane del Kenya se poi ci troviamo con ragazze quasi invisibili perse in uno sterrato che sembra di stare a Torbellamonaca? Non era più economico andare a Torbella almeno?"...
...E' colpa di tutti. Del circolo vizioso tra giornali-fotografi-inserzionisti della moda. Diventato così autoreferenziale da escludere il punto di vista della lettrice-eventualmente compratrice. Che infatti compra sempre meno, sia riviste, che abiti, che accessori. Perchè, a furia di elevare l'immagine, la moda ha perso immagine. Non ha più la centralità di un tempo nei discorsi e nei desideri...

dal Corriere della Sera del 4 Settembre 2007

venerdì 24 agosto 2007

natalia aspesi docet

"...non sono capace, mentre delle bravissime colleghe lo sono, di mettere quaranta nomi in cinquanta righe dicendo che sono tutti bravi. Non si capisce perchè puoi dire che i capi di governo hanno fatto degli errori, invece quando parli di moda sono tutti perfetti...
...Le cose inutili non si rilevano. Un criminale che sfila non si rileva (Corona n.d.r.)...
...La moda non ha capito che si è fatta male da sola, perchè è vero che tutti hanno due righe sui giornali, però ne ha due chi meriterebbe di più e chi nulla...
...Il tanga ha ucciso la moda e il sesso...Oggi c'è il vestire, il poter comprare a tutti i prezzi, ma la moda è finita negli anni novanta..."

da un'intervista su D la repubblica delle donne del 14 Luglio 2007

martedì 21 agosto 2007

dicono dell'a.i. 2007/2008

"sono ossessionata dall'innovazione: ho lavorato sui colori e sui materiali, creando nuove e complesse combinazioni, per dare modernità alla collezione"
miuccia prada

"la mia collezione incarna una donna libera, che fa del glamour la propria arma di seduzione...un pò Gloria Swanson e molto Veronica Lake, con un pizzico di Charlize Theron e una buona dose di Sharon Stone"
roberto cavalli

i nostri figli

Il giorno in cui Nicolas Ghesquiere entra nello studio di Jean Paul Gaultier ha ventun anni. E’ molto emozionato, e nei lunghi minuti in cui lo fanno attendere alla reception chiude gli occhi e immagina di trovarsi tra i verdi ed eleganti campi da golf che suo padre amministra, si vede sdraiato lì in mezzo e si rilassa. Quando riapre gli occhi davanti a lui c’è un simpatico signore con i capelli rasati e molti tatuaggi che lo guarda incuriosito. E poco dopo gli offre un lavoro.
Nicolas non avrebbe mai immaginato che da lì a qualche anno sarebbe diventato “il più influente designer sulla faccia della terra” , per usare le scarne parole di Vogue America.
Nei due anni che passa chez Gaultier incamera l’essenza della moda parigina, assorbe lo stress da cambiamento stagionale e capisce che ne può fare un paradigma, piega lo sguardo di fronte alla precisione millimetrica per le scelte stilistiche del suo maitre de couture e ne impara i segreti.
Poi se ne va e prende una direzione che lo porterà ad incenerire l’eredità di Jean Paul. Oltre che quella di tutti gli ormai cinquantenni creatori figli degli anni ottanta.

Quando nel 1995 Stefano Pilati sale per la prima volta le poche scale del quartier generale di Prada in Via Spartaco pensa di essere arrivato ad un traguardo nella sua vita lavorativa. Poi pensa che non sarà all’altezza del compito. Poi pensa che la sua educazione borghese che ha imparato a rifiutare forse lo aiuterà.
Nei lunghi anni passati a sperimentare stampe, lavorazioni e finissagi nell’ufficio tessuti acquisisce un rigore giansenistico che lo aiuta ad abbassare la testa ogni volta che gli è richiesto. Ma impara anche quanto la libertà creativa sorga spontanea da un intelletto forte.
Quando nel 2004 il mondo della moda si frantuma di fronte all’uscita di scena di Tom Ford è pronto a prenderne il posto da Yves Saint Laurent. E sente che per la prima volta gli è concesso di alzare la testa. Definitivamente.
Di lui Suzy Menkes, forse la più autorevole giornalista di moda del mondo, dice che è riuscito ad arrivare all’anima del marchio. Parla di “class act”.

Hanno qualcosa in comune questi due acclamati talenti? Non l’età, non la nazionalità, non l’approccio verso il design e neanche il gusto personale. Non vendono allo stesso pubblico, né appartengono allo stesso gruppo finanziario. Non hanno riferimenti culturali o estetici in comune, non amano le stesse icone, gli stessi film, la stessa musica.
Il loro legame è una approccio incredibilmente etico verso la moda. Una partecipazione responsabile al contesto socioculturale che li circonda, una capacità comunicativa che va molto oltre il segno estetico e riesce a inglobare una visione del mondo futuribile pensando a scenari sostenibili. E questo è probabilmente l’unico vero passo avanti che la moda ha fatto, anche attraverso di loro, negli ultimi dieci anni.





Nella sua ultima collezione Balenciaga per l’autunno inverno 2007-2008 Nicolas Ghesquiere disegna un mondo che finalmente non ha confini. Un mondo che sarebbe piaciuto a John Lennon ma che piacerebbe molto anche ad Al Gore. Raccoglie segni da tutte le etnie del mondo costringendoli a coesistere con il rigore delle uniformi dei college inglesi. Imbandisce una festa scolastica che raccoglie nel cortile centrale giovani studenti da tutto il mondo. Che parlano una lingua uguale per tutti e le cui individualità non si riconoscono più perché ne esce una nuova, universale.
Forse sono i figli di Myspace e Youtube ma di certo non pensano di vivere dentro Secondlife.
Le forme della collezione sono occidentali, la silhouette quotidiana, i materiali consueti. Ma colori e motivi stranieri irrompono creando spaccature sulle superfici piatte, deformando la costruzione armonica dell’abbigliamento borghese, stridendo e quasi soccombendo alla pressione estetica. Il caos che ne deriva è liberatorio e allo stesso tempo elegante, rispettoso della cultura europea e insieme anarchico.

Stefano Pilati si occupa solo apparentemente di ascetismo. Usa ogni capo come una grigia pietra focaia per accendere la passione di chi guarda e nella sua collezione autunno-inverno 2007/2008 discende nell’antro umido e polveroso dell’alta moda per fare piazza pulita della paura di cambiamento, sua e del mondo. Da quando è arrivato alla direzione creativa di Yves Saint Laurent è stato rispettoso della grandiosità del nome, della pesantezza dell’eredità, dei giudizi della stampa, ha camminato lentamente sentendosi guardato a vista. Liberato improvvisamente da ogni vincolo ha lavorato sul concetto di spreco, eliminando tagli inutili, costruendo silhouettes più semplici da tagliare, usando addirittura gli stessi cartamodelli per fare cappotti e abiti. Non allontanandosi dalla centralità del tema del lusso, ha tagliato via tutto il superfluo tornando a raccontare una storia di creatività essenziale.

Per entrambi la moda può di nuovo raccontare storie. Come negli anni ottanta descriveva un pericoloso ma eccitante eclettismo estetico ed etico, una conflittualità tra generi e razze che sarebbe presto esplosa in infinite guerre, così oggi il corpo smette di essere un valore assoluto e torna ad essere un tramite di messaggio, o come dice Baudrillard “metafora di sé stesso”. Tornare a leggere il significato della moda e la sua attinenza al sociale è tornato possibile, anzi necessario. E dopo l’ubriacatura chirurgo estetica degli anni novanta l’abito può ricominciare a vestire il corpo, e quindi il mondo, sfumandone il senso, allargandolo, ridescrivendolo. Immaginandolo migliore.

venerdì 17 agosto 2007

Perchè sollevare la questione

Perchè di moda ed etica si parla semplicemente troppo poco.
Vorrei che questo diventasse un posto da cui fare un serio punto della situazione.
Innanzitutto raccogliendo materiale, esperienze, opinioni, links.